Abou Said ibn Khalef ibn Yahia Ettamini el Beji.
Questo il nome completo del religioso musulmano che, rimasto incantato da questo angolo di Mediterraneo, costruì un tempio in cui si rinchiuse in preghiera, accanto al villaggio Jabal el-Menar. Quando morì, nel 1231, fu sepolto nel villaggio e il posto prese il suo nome, abbreviato in Sidi Bou Said, per rendergli omaggio.
Il piccolo villaggio di cui si innamorarono anche grandi artisti come Paul Klee e Moillet, Sarte e Simone de Beauvoir, o il pittore francese Rodolphe d’Erlanger, lo stesso che, nei primi anni venti del ‘900, diede al piccolo villaggio la sua attuale architettura, rendendolo il paradiso bianco e blu che è tuttora, quel paradiso in cui governatori e benestanti iniziarono a voler vivere, costruendovi case e residence.
Sidi Bou Said si trova a circa un quarto d’ora di auto da Tunisi, al confine con Cartagine.
Affaccia sul mare e dal mare sembra prendere l’anima e i colori, come se invece delle mani di d’Erlanger, sia stato lo stesso Mediterraneo a divertirsi a spennellare le case del villaggio.
Il bianco e il blu regnano sovrani, spezzati dai colori del mercato ospitato dalla via principale, dalle stoffe della sua gente che passeggia sulle strade acciottolate e da quelle rare porte colorate di giallo, rosso e verde che ci si può divertire a cercare come in una caccia al tesoro.
A Sidi Bou Said c’è l’odore del mare, del tè alla menta con i pinoli (tipico di qui, da provare assolutamente al Cafè des Nattes, il preferito da Sarte, dove nel retro si trova anche il marabutto eretto sulla tomba di Sidi Bou Said) e delle buganvillee che si arrampicano sui muri della città.
Camminando lungo la via principale, Rue Habib Thameur, oltre ai bar, i carretti di zucchero filato, le piccole sale che ospitano mostre, si incorre in bambini che vendono mazzolini di fiori e ragazze dagli occhi grandi che, in pochi minuti e in cambio di pochissimi euro, creano meravigliosi tatuaggi all’henné… ai quali io non ho saputo resistere.
I tatuaggi con l’hennè sono gli unici ammessi nel mondo arabo (quelli veri sono considerati “haram” (=peccato), e vietati perché considerate contaminazioni del corpo creato da Dio). Sono utilizzati principalmente dalle donne in occasione di cerimonie importanti, perché considerati purificatori (grazie alle erbe con cui vengono fatti) e di buon augurio.
In particolare rappresentano un vero e proprio rito nella preparazione della donna al matrimonio, al quale si dedica un’intera giornata, inaugurata e chiusa da canti e danze. Molto più di un semplice peccato di vanità.
Ma il villaggio non ha solo i suoi colori da mostrare.
Da non perdere è il Museo della Musica Mediterranea, uno di quei rari casi di porticina gialla, che si trova nella residenza di d’Erlanger e ospita una collezione di strumenti musicali da tutto il Mediterraneo.
Se invece volete riempirvi gli occhi di una residenza da Mille e una Notte, entrata nella Residenza Dar el-Annabi, ricca di sale aperte al pubblico e con una grande terrazza che offre una vista meravigliosa sul mare.
Tutto il villaggio di Sidi Bou Said è un piccolo grande scorcio sul Mediterraneo in cui vale assolutamente la pena perdere gli occhi.
Che posto splendido e di atmosfera!!!
Confermo, ha un fascino speciale!